Proprietà intellettuale

Cosa rende “forte” il tuo marchio

Tra i beni intangibili di un’impresa il marchio assolve alla precipua funzione di identificare i prodotti e i servizi che la stessa offre, differenziandoli da quelli dei suoi concorrenti e consentendo, al contempo, al consumatore di riconoscere i prodotti in questione e di effettuare delle scelte consapevoli nell’acquisto degli stessi.

A tal fine è necessario quindi che non via sia un rischio di confusione per il pubblico, determinato ad esempio dalla affinità di prodotti, tale da indurre il consumatore a ritenere che gli stessi provengano dalla stessa impresa.

Per valutare pertanto se esista in concreto tale rischio di confusione è necessario considerare una serie di elementi quali: la natura dei prodotti; la loro destinazione, il loro impiego, nonchè la loro concorrenzialità.

Secondo la recente giurisprudenza infatti,  l’affinità tra prodotti ” implica la comunanza di una qualità ontologica dei prodotti e non la mera appartenenza ad un medesimo ambito culturale o di costume” ( Cass. Civile Ordinanza Sez I. n. 31938/2019).

Sarebbe pertanto configurabile l’affinità, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato in materia, 

con riguardo a quei prodotti o servizi, che per la loro natura, la loro destinazione alla medesima clientela o alla soddisfazione del medesimo bisogno, risultano fungibili in misura rilevante e pertanto in concorrenza, cosicchè la mancanza della distinzione precisa tra i segni che li identificano nel mercato comporta il rischio della confusione e dunque, della illecita aggressione all’altrui avviamento e all’altrui clientela. 

 

La rilevante forza distintiva del marchio: art. 13 Codice dei diritti di proprietà industriale

Un nome, un suono, un colore, una località geografica, possono costituire marchi d’impresa purchè siano suscettibili di distinguere i prodotti o i servizi da quelli identici o comunque simili e costituiscano di per sé un’idea originale.

Secondo la giurisprudenza di legittimità anche una parola di uso comune può conferire al marchio tale forza distintiva, qualificandolo come forte, quando sia corredata di elementi di pura fantasia, dove l’accostamento del nome al prodotto rappresenti un’idea originale (come nel marchio Apple per Pc o iPhone) e non una funzione intrinsecamente descrittiva del prodotto, come ad esempio nel caso Make up per un’azienda che produce cosmetici.

In tale ultimo caso infatti, il marchio viene definito debole ai fini della sua tutela e inidoneo a formare oggetto di esclusiva ai sensi dell’art. 2569 cc.

Anche un’espressione storica può formare oggetto di marchio purchè “ l’accostamento dell’espressione al prodotto rappresenti applicazione di un’idea originale e non rievochi nel consumatore medio un collegamento con prodotti dello stesso genere di quello che si intende contrassegnare”.

Causa C-163/16 Louboutin Van Haren Schoenen Bv

Il marchio consistente nel colore rosso applicato alla suola di una scarpa deve essere tutelato

In un procedimento di contraffazione proposto dal noto stilista francese Louboutin che crea e produce scarpe con suole rosse, contro Van Haren per violazione del marchio di Louboutin, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che anche un colore apposto sulla suola di una scarpa con tacco alto può costituire marchio d’impresa.

Tale suola rossa infatti attribuisce valore sostanziale alle scarpe dello stilista Louboutin -che nella domanda di registrazione precisava che il contorno della scarpa non faceva parte del marchio, ma ne evidenziava la posizione- rappresentando una sorta di codice di identificazione riconosciuto a livello internazionale e svolgendo pertanto un ruolo importante nella decisione di acquistarle.

La rilevanza delle modalità di uso del marchio per valutare la sua forza distintiva: Causa C-541/18

Possiamo considerare il segno cancelletto (hashtag) dotato di forza distintiva e quindi idoneo ad essere registrato come marchio di impresa?

Secondo la Corte di Giustizia Dell’Unione Europea, rilevano al riguardo, i possibili usi del marchio nel settore economico interessato.

Ciò al fine di valutare come il pubblico, generalmente avveduto, possa percepire il marchio in questione.

Ad esempio, nel settore degli articoli di abbigliamento, il marchio generalmente viene apposto tanto sulla parte esterna del prodotto, quanto su quella interna, ovvero sull’etichetta.

Considerando quindi la prassi del settore, possiamo determinare se “il consumatore medio vedendo il segno hashtag lo percepirà come marchio e non come semplice elemento decorativo o messaggio di comunicazione sociale” –  nel caso di specie l’ashtag in questione invitava il pubblico a discutere su un argomento-. 

E’ quanto ha disposto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ambito di una controversia sorta tra un’azienda tedesca, che produce articoli di abbigliamento e l’ufficio tedesco di marchi e brevetti che aveva respinto la domanda di registrazione del marchio di impresa della prima e consistente appunto nell’ashtag #darferdas, privo di forza distintiva secondo l’ufficio marchi della Germania. 

Carenza di originalità del marchio e Secondary Meaning

Un marchio originariamente debole, per mancanza di originalità o per la sua genericità, può acquistare successivamente carattere distintivo se in grado di consolidarsi sul mercato e idoneo a suscitare nel consumatore un collegamento con il prodotto in questione e non con tutta la classe di appartenenza (c.d Secondary meaning).

Classico esempio di Secondary meaning, di origine statunitense e prevista dal secondo comma dell’art.13 del codice di proprietà industriale, è rappresentato dal marchio Divani&Divani, che originariamente debole, attraverso l’uso, la propaganda e la pubblicità ha sviluppato una forza distintiva tale che gli viene riconosciuta la stessa tutela accordata ai marchi originariamente forti.

L’uso generalizzato del marchio può altresì condurre alla perdita della sua capacita distintiva.

Si parla al riguardo di volgarizzazione del marchio per riferirsi all’ipotesi in cui lo stesso abbia acquistato una denominazione generica del prodotto divenendo il termine usuale con cui i consumatori definiscono non solo un determinato prodotto, ma ogni prodotto dello stesso genere, da chiunque ne venga effettuata la produzione. Si pensi ad esempio al marchio Rimmel, diventato nel tempo sinonimo di mascara.

 

Tutela nazionale e internazionale del marchio

Tutelare il proprio marchio attraverso la registrazione -se in possesso dei requisiti previsti dalla legge (oltre alla capacità distintiva è necessaria anche la novità, la liceità e la non contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume)- significa poter esercitare il diritto di esclusiva sullo stesso, precludendo a terzi di farne uso e di agire contro ogni tentativo di imitazione attraverso l’azione di contraffazione.

Un marchio non registrato al contrario, c.d marchio di fatto, gode di una tutela alquanto limitata, richiedendo la prova che lo stesso abbia acquisito una particolare notorietà nel pubblico, ad esempio attraverso indagini demoscopiche e pubblicazioni di settore, come richiede la giurisprudenza.

La registrazione del marchio a livello nazionale si ottiene presso l’Ufficio Centrale Brevetti e Marchi e a livello internazionale presso l’Organizzazione Mondiale della Proprietà intellettuale (OMPI) con sede a Ginevra.

Con riferimento alla tutela internazionale del marchio va ricordato che attraverso il Protocollo di Madrid gestito dall’OMPI, con un’unica procedura è possibile registrare lo stesso marchio nei diversi paesi aderenti all’Unione di Madrid (Unione Europea, Stati Uniti, Giappone, Cina, Australia).

 

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