Social Media

Minori e Social Media: tra “sharenting” e consenso digitale

Secondo Fanpage in media un genitore pubblica 1400 foto dei figli nei primi diciotto anni di vita.

I neo genitori sono infatti particolarmente vulnerabili al fenomeno dello sharenting, ovvero la condivisione sui social, da parte di un adulto, dei dettagli privati della vita di un bambino.

Un fenomeno solo apparentemente innocuo che, secondo uno studio di Barclays, la banca internazionale britannica, rappresenterà entro il 2030 i due terzi delle frodi di identità ai danni di persone giovani.

Come ripetutamente evidenziato dalle forze dell’ordine e ribadito dalla recente giurisprudenza (Tribunale di Rieti 7.03.2019) “il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social networks”.

La complessità della rete e la sua vocazione alla a-territorialità, che consente agli utenti di entrare in contatto con chiunque e di condividere immagini e dati personali con un pubblico potenzialmente globalizzato e per un tempo non circoscrivibile, impone una tutela rafforzata per i minori.

Non si può sottacere il pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line dei minori e con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati”.

La tutela del minore nell’ordinamento giuridico

La tutela della vita privata e dell’immagine dei minori è prevista nel nostro ordinamento giuridico, in particolare, oltre che nell’art. 10 del codice civile, in materia di abuso dell’immagine altrui, anche nella Convenzione di New York del 20-11-1989, che il nostro paese ha ratificato con la legge 27-5-1991 n. 176.

Tale Convenzione considera eminente l’interesse del minore a non essere oggetto di “interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione.  Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”. (Art.16)

Sharenting e astreinte ex art. 614bis cpc

Dell’affronto alla vita privata di un minore si è occupato in passato il tribunale di Roma, (ordinanza 23 dicembre 2017) che nell’interesse prioritario dello stesso -gravemente turbato dalla condotta della madre che compulsivamente condivideva sui social foto e dettagli della vita privata del figlio-  imponeva alla madre di rimuovere dai propri social networks foto, video e contenuti relativi al figlio e di interromperne la diffusione sugli stessi.

Al fine di garantire un’adeguata tutela morale e materiale del minore, il tribunale di Roma disponeva d’ufficio altresì, ai sensi dell’art.614 bis cpc, il pagamento a carico della madre, di una determinata somma di denaro nei confronti del figlio nel caso di mancata ottemperanza da parte della donna agli obblighi sanciti dal giudice (cd astreinte o penalità di mora, prevista dall’art.614bis cpc per ogni inosservanza del provvedimento del giudice).

La condotta di quest’ultima infatti aveva procurato un profondo disagio all’adolescente che aveva manifestato il desiderio di proseguire gli studi all’estero, proprio allo scopo di allontanarsi dal contesto sociale nel quale viveva, ove amici e  compagni di scuola erano a conoscenza delle sue vicende personali, comprese quelle processuali dei genitori, rese note dalla madre tramite appunto i social networks.

Minori e consenso digitale

Strettamente connesso alla protezione dei minori dai rischi connessi alle nuove tecnologie è il concetto di “consenso digitale”, previsto dall’art. 8 del Regolamento europeo 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GDPR), in materia di consenso dei minori al trattamento dei dati personali nell’ambito dei servizi della società dell’informazione.

Ai sensi dell’art. 1 della direttiva europea 2015/1535 per “servizio della società dell’informazione” si intende qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, ovvero  fornito senza la presenza simultanea delle parti, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.  Tali servizi includono le piattaforme social, come Facebook, Twitter, LinkedIn, e i siti di comparazione prezzi (TripAdvisor)

L’art. 8 del Regolamento citato infatti sancisce la liceità del consenso digitale del minore che abbia almeno sedici anni, lasciando tuttavia gli Stati membri liberi di determinare un’età diversa, purchè comunque non inferiore ai tredici anni.

Il nostro legislatore con l’art.2-quinquies del Dlgs 10 agosto 2018 n.101, che ha adeguato la normativa nazionale alle disposizioni del GDPR,  ha stabilito la validità del consenso del minore che ha compiuto quattordici anni. 

Al di sotto dei  quattordici anni è necessario il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale.

Tale norma, come osservato in dottrina, sembra delineare un equo bilanciamento tra l’esigenza di protezione del minore e il riconoscimento di un adeguato margine di autonomia che ne consenta lo svolgimento della sua personalità.

Affinchè inoltre il minore possa esprimere un consenso realmente informato, l’art. 12 dello stesso Regolamento, impone al titolare del trattamento modalità trasparenti per l’esercizio dei diritti dell’interessato. Vale a dire l’obbligo di fornire a quest’ultimo le informazioni e le comunicazioni relative al trattamento in forma concisa, trasparente, facilmente accessibile e con un linguaggio semplice e chiaro.  

In particolare il Considerando 38 del GDPR spiega perché è importante stabilire l’età in cui il minore possa prestare il suo consenso validamente

I minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali. Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore. Il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non dovrebbe essere necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente a un minore.         

Conclusioni

Al di là del caso limite affrontato dal tribunale di Roma e delle condotte che possono integrare fattispecie penalmente rilevanti, è utile evidenziare il potenziale pericolo per chi cresce on line.

Come osserva Kate Eichorn, professoressa di Media presso la New School di New York City, il fatto che le persone stiano formando la loro “identità online” sin dalla più tenera età, ostacola un processo fondamentale nella crescita umana: la capacità di cambiare e reinventare se stessi.

Ciò che prima dell’avvento dei social era fugace ora è documentato e taggato e sempre pronto ad irrompere nelle nostre vite.

Insomma, “il pericolo per i minori nell’era digitale, non è la scomparsa dell’infanzia, ma piuttosto la possibilità di un’infanzia perpetua”.

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